Racconti sulla Luna #5 – La prima volta sulla Luna
Chi lo aveva fatto prima di me cercava di tranquillizzarmi con una frase che ormai conoscevo a memoria: “È come quando inizi a guidare un’automobile, le prime volte dovrai pensare a coordinare tutti i movimenti, poi ti verrà naturale e il tuo corpo sarà un tutt’uno con i comandi”.
Parole vane.
Sentivo l’adrenalina pervadere il corpo. Le mani tremavano, le gambe erano rigide. Davanti ai miei occhi un’infinità di pulsanti e piccole leve gialle, illuminati da luci rosse e verdi che bucavano il buio in cui ero avvolta.
Un errore poteva essere fatale: avevo dodici secondi. Meno di un quarto di minuto per comunicare a chi era in ascolto il mio nome e cosa stava per succedere.
In quel pomeriggio di ottobre, cercavo di allontanare in ogni modo possibile il pensiero di uno schianto. Non avevo il coraggio di guardare il mio viso riflesso nel vetro della cabina, per la paura di vedere il perfetto ritratto di chi non ce l’avrebbe fatta. Che delusione, povera incapace!
Il display sopra la mia postazione scandiva impietoso l’ultima manciata di attimi: e più il tempo diventava piccolo, più il presagio di fallire oltraggiava spavaldo il debole intreccio di pensieri positivi che ponevo come cordone di sicurezza, insinuandosi come un virus letale nelle ultime cellule sane rimaste.
Lui sì — il compare Cattivo presagio — che era Gran Maestro d’irruzione nella vita delle persone! Mica come me, che alla forma già sgualcita aggiungevo la gola secca e la vista appannata dalle lacrime. Frugavo in ogni cassetto della mia mente, sperando di trovare un avanzo di preghiera, mantra o rituale che potesse salvarmi: non dico tutta, ma almeno l’anima.
Ma era troppo tardi.
Dovevo decollare.
Con la solennità di un soldato che presta giuramento al suo comandante, sistemai per l’ultima volta le cuffie sulla testa, facendone l’elmetto della battaglia decisiva.
Ora o mai più. Fu un susseguirsi di movimenti precisi e veloci: mano sinistra su per aprire il microfono, mano destra giù per abbassare il volume della musica. La voce, un perfetto funambolo tra me e il pubblico.
Quattro lettere: CIAO! Quattro lettere accompagnavano lo sbarco su un nuovo mondo, su un satellite da scoprire, amare, vivere.
Fluttuavo, con la magia dei suoni e delle parole attaccata sulla pelle.
La mia, di Luna, dava il nome alla radio. E io nell’orbita giusta, ero on air.