La cosa più grande della nostra storia

«Ricordate? Arrivava una cartolina che diceva: lei è precettato in piazza tale, all’ora tale, del giorno tale: ad ascoltare il discorso del gerarca tale. E la gente diceva: sempre discorsi.

Ma la Resistenza è un’altra cosa.

Non si tratta di discorsi. La Resistenza è il documento dei tempi nostri che riverbera la sua luce spettacolare sul mondo.

Non eravate nati a quei tempi. Ma pensate cosa significa potere pensare, potere scegliere, avere coscienza umana. Se nel nostro cuore, con sincerità d’animo, è germogliata un’idea… perché quest’idea deve essere un crimine?

Eppure allora era un crimine. Questo era il dramma.

Fu abolito il pensiero, fu abolita la scelta. Arrivava una circolare di Bottai e diceva: d’ora innanzi gli italiani sono razzisti. Da quel momento cominciavano le persecuzioni razziali. Un professore era obbligato a professare pubblicamente, dinanzi ai suoi allievi, una teoria come fosse cosa assoluta. Se non la professava facendone partecipi i suoi studenti, lo chiamava il Questore che gli rimproverava di avere il giorno prima contraddetto la teoria razziale. «Lei ha avuto il coraggio di parlare bene degli ebrei! Lei è un criminale! Merita di essere condannato alla prigione». «Lei signore – continuava il Questore – ha avuto il coraggio di andare l’altra sera in casa di un notorio ebreo… anatema!»

Queste sono cose realmente avvenute.

Che importava se il notorio ebreo era un galantuomo, una persona per bene, un padre di famiglia, che avesse un bambino o la moglie ammalata, che tizio lo visitasse perché medico o vecchio amico. «Si vergogni! Lei è contro il fascismo, contro il duce: sarà condannato, messo al confino».

Si riuniva una commissione di cinque, sei comandanti, di cinque sei gerarchi tutti vestiti in orbace, con nappe e aquile – se non fosse stato da piangere, ci sarebbe stato veramente da ridere -, entrava il colpevole, nessuno lo guardava, nessuno lo salutava: era al centro del generale disprezzo. «Voi siete amico degli ebrei», dicevano.

Perché anche il ‘lei’ era antifascista ed era abolito dall’uso comune, come il togliersi il cappello, lo stringersi la mano. Mi ricordo che un giorno in piazza, uno studente mi salutò ed io per rispondergli mi levai il cappello: si può dire che tenevo e tengo il cappello proprio per rispondere al saluto. Non lo avessi mai fatto. Mi si avvicinarono due poliziotti e mi redarguirono: «Voi avete avuto il coraggio di salutare togliendovi il cappello!».

Oggi ricordare quel periodo fa ridere: ma non faceva ridere quella commissione di cui vi dicevo prima e che stava riunita quattro, sei ore in camera di consiglio per giudicare quel tizio che aveva fatto visita a un ebreo. Allora in Italia, almeno apertamente, non ci erano comunisti; ma se un disgraziato avesse fatto visita a un comunista la fucilazione nella schiena o trent’anni di lavori forzati non glieli levava nessuno.

Questo è il dramma che abbiamo vissuto attraverso la Resistenza che era rivolta contro gli oppressori della coscienza. Non avevamo nulla, ma trovammo nel nostro cuore la forza di ribellarci: avevamo una coscienza che è un valore inalienabile. Questo sentimento, specie negli ultimi anni, si è maturato, accresciuto, ingrandito: la coscienza umana si è ribellata all’idea di essere considerati traditori della patria solo perché si amavano gli ebrei.

Oh, il pensiero di tutte quelle creature bruciate vive: di quei bambini di quattro, cinque, dieci anni immessi nelle stanze a gas alle quali erano giunti accatastati in carri bestiame, tenuti senza cibo, e portati a morire! È un crimine nefando che grida l’orrore per tutta l’eternità. Le lacrime di quelle creature innocenti sono le lacrime stesse di Dio. La Resistenza fu sostanzialmente la rivolta legittima ai delitti contro la coscienza umana che nessuno ha il diritto di opprimere.

Si ribellarono tutti quelli che poterono e la Resistenza resta per tutti i secoli, a documentare nel mondo l’affermazione dei valori umani che sono infrangibili. Perché ognuno di voi è un valore infinito. Non si può condannare chi la pensa in modo diverso, anche se la dottrina che l’altro professa la considerate sbagliata, perché l’idea non è titolo di reato, ma è, invece, documento della tua e della mia personalità, della tua e della mia forza. Ogni avversario ha una sua forza ed è intoccabile comunque, dal punto di vista della persona umana.

Per ristabilire questi valori nacque la Resistenza. Si stabilì la fraterna solidarietà fra tutti: non è retorica, è cosa vera. La coscienza umana non può essere coartata perché si ribella, e quando la coscienza coartata si ribella, si manifesta nei rivoltosi la fraternità. La coscienza è sacra e non può l’uomo, chiunque esso sia, mettere la mano sulla coscienza altrui. Non c’è nessuno che possa dirti: pensa così. Perché tu, io, voi, pensiamo come vogliamo. È una cosa, questa, che bisogna ricordare sempre.

La Resistenza è stata la cosa più grande della storia d’Italia. Per essa tante creature sono morte: creature miti, anime elette come Anna Maria Enriquez e Tina Lorenzoni e tante altre il cui sacrificio è documento di una giovinezza che ha creduto nei valori infiniti, intoccabili dell’uomo. La nostra speranza è che i giovani di oggi, la generazione di domani, la futura classe dirigente, comprendano sempre più che di questo ideale sono i portatori e che per esso devono essere capaci di morire.

Il tempo non infrange la forza della Resistenza, che è stata cementata dagli ideali della giovinezza. La Resistenza fu la rivolta legittima contro la coscienza umana coartata, e il suo valore immutabile, nel tempo».

Giorgio La Pira. Aprile 1955.

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